Attuale
Un filosofo in camice bianco
Intervista con il Dott. Claudio Graiff, primario uscente di oncologia
È stato il primo primario del nuovo reparto di oncologia a Bolzano, creato nel 1999 dall’allora medicina 2. Claudio Graiff, nato nel 1954 a Bolzano, laureato nel 1979 a Pavia, tre specializzazioni in oncologia, ematologia e radioterapia. Il 25 settembre è stato il suo ultimo giorno in reparto, e guarda caso coincideva con un concerto dei donatori di musica.
Primario Dott. Claudio Graiff
Il dottor Graiff è un medico con l’anima di un filosofo. E questo approccio ha determinato la sua umanità nel rapporto con i pazienti, ma anche con i colleghi e i collaboratori.
Chance: Dottor Graiff, oggi (il 25 settembre, n. d. red.) è il suo ultimo giorno in reparto. Dopo tanti anni in prima linea, alle prese con una malattia che è percepita come il male assoluto, un ambito che negli ultimi venti - trent’anni ha subito dei cambiamenti radicali. Nuove tecniche, nuove cure, nuove ricerche che comportano l’essere sempre aggiornati senza perdere poi di vista la cosa più importante, il rapporto con il paziente. Cosa farà da domani, una persona che è all’apice della sua competenza?
Dott. Graiff: Non si preoccupi, non è che da domani non ho più niente da fare. Mi rimangono ancora tante cose da fare. Pratiche burocratiche da finire. Sono ancora membro di diverse commissioni, del comitato etico, collaboro con riviste scientifiche… Continuerò con la mia attività di ricerca. Porto avanti il progetto “Donatori di Musica” a me molto caro, proseguirò con altre attività no profit e poi – non escludo di trovare un altro spazio, magari chiudo una porta e se ne apre un’altra.
Chance: A proposito dei “Donatori di Musica”, progetto di cui è cofondatore, partito nel 2007 e insignito del premio Alexander Langer. Come le è venuta l’idea di trasformare la sala d’attesa del suo reparto in sala da concerto?
Dott. Graiff: L’idea è nata da una chiacchierata con un collega di Carrara, il Dott. Maurizio Cantore. Lo scopo va molto al di là di un mero evento culturale, si tratta di ritrovare una diversa dimensione nel vissuto della malattia per chi ne è colpito o chi se ne occupa professionalmente e che partecipa senza indossare un camice. Di portare in questa comunità artificiale – mai scelta da chi la frequenta, ma imposta da necessità – non solo la bellezza dell’Arte, ma anche uno stimolo alla riflessione, la quale, attraverso l’emozione dell’ascolto e la condivisione del linguaggio universale della Musica eseguita da grandi interpreti, riesce a liberare e promuovere l’umanità di ciascuno, sia egli ammalato, familiare, volontario, operatore sanitario, o anche amministratore di sistemi sanitari.“Donatori di Musica”: La musica unisce i pazienti, il personale del reparto e i famigliari. La sala d’attesa diventa auditorium.
Chance: Si occupa dalla metà degli anni settanta di oncologia. Se guarda indietro, quali sono stati i cambiamenti più importanti?
Dott. Graiff: Certo, bisogna dire che tutto è diventato tremendamente più complicato! È cambiata la complessità della gestione. Oggi bisogna saper distinguere, bisogna saper scegliere tra le vaste possibilità la terapia o le terapie più adatte al singolo paziente. Ci sono stati dei fondamentali cambiamenti nell’approccio al paziente. Negli anni settanta l’ammalato è stato perso di vista, si lavorava solo sull’organismo. Io sono stato sempre scettico verso questa visione. Il nostro corpo è un composito, non si può distinguere tra anima, mente e corpo. Poi il malato è stato messo al centro e così è stato passivizzato. Tutto ruotava attorno a lui, ma lui era completamente estromesso.
Chance: L’ideale sta nel mezzo …
Dott. Graiff: Esatto. Al centro deve stare la costruzione di una relazione, di un percorso, che è sempre un percorso condiviso. Un’alleanza. Per curare questa malattia ci vogliono l’eccellenza clinica, ci vuole il professionista disposto ad ascoltare il malato e le sue esigenze e il malato che partecipa con responsabilità. Un medico poi non deve essere solo “un tecnico”, per fare il medico ci vuole una vasta cultura classica, occorre conoscere la filosofia, la letteratura, lo sviluppo del pensiero, scienze e arte…
Chance: Secondo lei cos’è fondamentale nel rapporto tra medico e paziente?
Dott. Graiff: La vicinanza umana, l’onestà. È un rapporto paritetico, solo asimmetrico per conoscenze. L’empatia vera è quando si riesce a dire no e il malato capisce.
Chance: L’oncologia clinica l’ha fatta la sua generazione e lei è stato il primo primario di questo reparto creato ex nuovo da medicina 2.
Dott. Graiff: Sì, posso dire che ho seguito e gestito dal nascere non solo questo reparto ma anche l’oncologia moderna. Abbiamo collaborato per trovare nuove vie. Siamo entrati con il nostro team in uno dei gruppi più importanti a livello internazionale, ciò che abbiamo fatto, che abbiamo potuto sviluppare assieme a loro appare in scritti che hanno fatto la storia dell’oncologia.
Chance: Quindi avete potuto svolgere anche delle ricerche importanti?
Dott. Graiff: Oggi la ricerca è diventata spesso la prova di prodotti, mentre la vera ricerca è la prova di ipotesi. Noi abbiamo sempre preferito partecipare a studi indipendenti piuttosto che a quelli organizzati dall’industria farmaceutica. Ci siamo tenuti lontani dall’ultima moda, dai “me too”. La ricerca non può essere prova il Dash contro il Dixan. Il marketing non deve entrare nella ricerca.
Chance: Si ricorda quando è nato in lei il desiderio di far medicina?
Dott. Graiff: Mi viene in mente una mia foto, quando ero un bambino di 3 o 4 anni e andavo all’asilo in Viale Venezia a Bolzano: sono vestito da medico e ausculto un bambino con uno stetoscopio di plastica.
Chance: …e la decisione per l’oncologia?
Dott. Graiff: Al secondo anno di medicina sono capitato in un laboratorio dove si faceva ricerca e mi piaceva. Mi sono cercato un reparto clinico e mi sono innamorato di questa materia. Ho cercato di farlo come persona seria e ricordandomi sempre che accanto alla mente ognuno ha un cuore.
Chance: E non l’è mai pesato lavorare in un campo così difficile, anche sotto l’aspetto psicologico e umano.
Dott. Graiff: No, credo che la mia forte motivazione e il mio bagaglio culturale mi hanno sempre aiutato a trovare il mio equilibrio.
Chance: Cosa si porta via da tutti questi anni in oncologia?
Dott. Graiff: Ho conosciuto tantissime persone e i loro drammi, e molti di loro li incontro ancora! Li rendevo aperti all’accoglienza, mi sentivo accolto da loro e li accoglievo. Mi rimangono trattamenti particolarmente riusciti, il ricordo di formidabili occasioni di conoscenze su etica e responsabilità.
Chance: Cosa potrebbe essere un’immagine per la sua professione.
Dott. Claudio Graiff: Noi siamo in trincea ogni giorno.