Attualità
L’elefante nella stanza
Brigitte Greif, responsabile del Servizio psicologico dell'Ospedale di Merano
Foto: Brigitte Greif
Non conosce imbarazzo. La sua voce è piacevole. Parla in un modo accattivante. E, al tempo stesso, fa capire subito di essere capace di ascoltare. Emana calma. La dottoressa Brigitte Greif, psicologa e nuova responsabile del Servizio di Psicologia dell'Ospedale di Merano, è specializzata in onco-psicologia.
Lavora principalmente nei reparti di Ginecologia e Urologia. Gli uomini non tendono ad avere un atteggiamento negativo nei confronti della consulenza psicologica? "Sempre meno, dice Brigitte Greif. Però, certo, affrontano la malattia in modo diverso dalle donne, fanno difficoltà ad ammettere di avere dei problemi e ad esprimere le emozioni associate a questa situazione di disagio. Sono orientati ai problemi, concentrati sul futuro". Le donne, invece, come conferma l'esperienza della psicologa, esprimono i loro sentimenti; la loro strategia di risoluzione dei problemi consiste infatti molto spesso nell’esprimere e condividere quello che provano.
Gli uomini sono spesso inizialmente reticenti dopo l'intervento alla prostata, impauriti dall’idea dell'incontinenza e dell'impotenza. "Ma questa prima reticenza può anche essere funzionale, può rivelarsi utile a superare più rapidamente il periodo iniziale per poi iniziare con più calma una terapia o comunque chiedere un supporto psicologico", dice Brigitte Greif. Il vantaggio degli uomini, secondo la psicologa, è che spesso hanno accanto a loro mogli e compagne a cui appoggiarsi. Le donne, invece, spesso cercano di affrontare le cose da sole, non vogliono essere un peso per la famiglia o hanno la convinzione di non dover essere un peso, di dover “funzionare” sempre.
Essere sinceri è la cosa più importante, anche quando si ha a che fare con la malattia, come Brigitte Greif ha avuto più volte modo di constatare. Durante i primi colloqui, la psicologa si presenta, lascia che l'altra persona a sua volta si presenti, scopre cosa sa della malattia, qual è il contesto, la situazione familiare. "Sono sempre colpita dalla forza e dalle risorse che le persone mostrano in questa situazione estrema e sono loro grata perché ogni volta posso imparare molto e farne tesoro".
Ama il suo lavoro ed è felice di poter fornire un sostegno a chi è colpito dalla malattia, offrendo a ciascuno uno spazio per esprimersi e trovando insieme le strategie migliori e adatte alla persona per gestire la situazione. "Il solo parlare ed esprimere l'ansia le toglie forza e la tiene a distanza. Sperimentare che tutti i sentimenti sono normali e ammissibili - paura, rabbia, disperazione, debolezza - aiuta a elaborare il trauma, lo shock della diagnosi, e a concentrarsi su ciò che accadrà dopo, a lasciar cadere un certo imbarazzo e a trovare la forza di affrontare argomenti importanti". L'attesa dei risultati è spesso peggiore della diagnosi stessa, Brigitte Greif lo sa benissimo. "Il morire e la morte sono argomenti che devono essere affrontati". Brigitte Greif chiama questi temi tabù l'elefante nella stanza. "Tutti lo notano, ma nessuno osa ammetterlo apertamente."
Il suo compito più importante è forse quello di creare le condizioni affinché le cose diventino chiare, di leggere tra le righe, di riconoscere senza tanti giri di parole ciò di cui ha bisogno, in quel preciso momento, la persona che ha di fronte. Il reparto di Psicologia dell'ospedale di Merano, dove lavora dal 2009, è composto da cinque colleghi, due dei quali a tempo pieno. Si tengono regolarmente riunioni d'équipe per discutere i casi e scambiarsi idee. Quattro volte l'anno si tengono incontri con gli (onco)psicologi degli altri ospedali dell'Alto Adige, non da ultimo per la supervisione reciproca. "Siamo molto ben collegati", sottolinea Brigitte Greif.
Anche i parenti sono parte integrante del suo lavoro di consulenza, discorso che vale soprattutto per i pazienti giovani con figli. I genitori di bambini spesso si sentono impotenti, anche se durante la seduta di consulenza appare chiaro che di solito hanno già trovato da soli una buona strategia per gestire la situazione. "I bambini non devono essere iperprotetti, hanno antenne così sensibili che capiscono comunque che qualcosa non va e, se esclusi, reagiscono con insicurezza e sviluppando sensi di colpa. Noi psicologi possiamo dare consigli su come trasmettere certe informazioni in modo adatto ai bambini". I figli adolescenti, d'altra parte, vengono alle sedute di consulenza anche da soli. "Spesso hanno domande che vorrebbero discutere senza i loro genitori". La cosa peggiore è non parlare, sottolinea Brigitte Greif. "Perché poi ognuno soffre da solo".
Il cancro non è più una condanna a morte, ma ci sono ancora diagnosi che non lasciano spazio alla speranza. Come si affronta questo problema come psicologa? "Non essere in imbarazzo è fondamentale. Bisogna chiamare le cose con il loro nome." Se si è onesti e sinceri, si può arrivare più rapidamente alle questioni importanti: quali questioni voglio ancora risolvere, cosa voglio ancora dire di me stesso? Oppure domande del tipo: come sarà il morire? "Sono sempre conversazioni molto toccanti, molto umane", dice la psicologa.
Brigitte Greif ha inizialmente intrapreso gli studi di economia ma ha capito molto presto che i suoi interessi stavano altrove: cosa muove una persona? Quali sono le sue motivazioni? Cosa spinge le sue azioni? Dopo aver studiato psicologia, si è formata anche come psicoterapeuta. Le piace lavorare in team interdisciplinari e apprezza enormemente gli aspetti profondamente umani del suo lavoro.
Gli uomini sono spesso inizialmente reticenti dopo l'intervento alla prostata, impauriti dall’idea dell'incontinenza e dell'impotenza. "Ma questa prima reticenza può anche essere funzionale, può rivelarsi utile a superare più rapidamente il periodo iniziale per poi iniziare con più calma una terapia o comunque chiedere un supporto psicologico", dice Brigitte Greif. Il vantaggio degli uomini, secondo la psicologa, è che spesso hanno accanto a loro mogli e compagne a cui appoggiarsi. Le donne, invece, spesso cercano di affrontare le cose da sole, non vogliono essere un peso per la famiglia o hanno la convinzione di non dover essere un peso, di dover “funzionare” sempre.
Essere sinceri è la cosa più importante, anche quando si ha a che fare con la malattia, come Brigitte Greif ha avuto più volte modo di constatare. Durante i primi colloqui, la psicologa si presenta, lascia che l'altra persona a sua volta si presenti, scopre cosa sa della malattia, qual è il contesto, la situazione familiare. "Sono sempre colpita dalla forza e dalle risorse che le persone mostrano in questa situazione estrema e sono loro grata perché ogni volta posso imparare molto e farne tesoro".
Ama il suo lavoro ed è felice di poter fornire un sostegno a chi è colpito dalla malattia, offrendo a ciascuno uno spazio per esprimersi e trovando insieme le strategie migliori e adatte alla persona per gestire la situazione. "Il solo parlare ed esprimere l'ansia le toglie forza e la tiene a distanza. Sperimentare che tutti i sentimenti sono normali e ammissibili - paura, rabbia, disperazione, debolezza - aiuta a elaborare il trauma, lo shock della diagnosi, e a concentrarsi su ciò che accadrà dopo, a lasciar cadere un certo imbarazzo e a trovare la forza di affrontare argomenti importanti". L'attesa dei risultati è spesso peggiore della diagnosi stessa, Brigitte Greif lo sa benissimo. "Il morire e la morte sono argomenti che devono essere affrontati". Brigitte Greif chiama questi temi tabù l'elefante nella stanza. "Tutti lo notano, ma nessuno osa ammetterlo apertamente."
Il suo compito più importante è forse quello di creare le condizioni affinché le cose diventino chiare, di leggere tra le righe, di riconoscere senza tanti giri di parole ciò di cui ha bisogno, in quel preciso momento, la persona che ha di fronte. Il reparto di Psicologia dell'ospedale di Merano, dove lavora dal 2009, è composto da cinque colleghi, due dei quali a tempo pieno. Si tengono regolarmente riunioni d'équipe per discutere i casi e scambiarsi idee. Quattro volte l'anno si tengono incontri con gli (onco)psicologi degli altri ospedali dell'Alto Adige, non da ultimo per la supervisione reciproca. "Siamo molto ben collegati", sottolinea Brigitte Greif.
Anche i parenti sono parte integrante del suo lavoro di consulenza, discorso che vale soprattutto per i pazienti giovani con figli. I genitori di bambini spesso si sentono impotenti, anche se durante la seduta di consulenza appare chiaro che di solito hanno già trovato da soli una buona strategia per gestire la situazione. "I bambini non devono essere iperprotetti, hanno antenne così sensibili che capiscono comunque che qualcosa non va e, se esclusi, reagiscono con insicurezza e sviluppando sensi di colpa. Noi psicologi possiamo dare consigli su come trasmettere certe informazioni in modo adatto ai bambini". I figli adolescenti, d'altra parte, vengono alle sedute di consulenza anche da soli. "Spesso hanno domande che vorrebbero discutere senza i loro genitori". La cosa peggiore è non parlare, sottolinea Brigitte Greif. "Perché poi ognuno soffre da solo".
Il cancro non è più una condanna a morte, ma ci sono ancora diagnosi che non lasciano spazio alla speranza. Come si affronta questo problema come psicologa? "Non essere in imbarazzo è fondamentale. Bisogna chiamare le cose con il loro nome." Se si è onesti e sinceri, si può arrivare più rapidamente alle questioni importanti: quali questioni voglio ancora risolvere, cosa voglio ancora dire di me stesso? Oppure domande del tipo: come sarà il morire? "Sono sempre conversazioni molto toccanti, molto umane", dice la psicologa.
Brigitte Greif ha inizialmente intrapreso gli studi di economia ma ha capito molto presto che i suoi interessi stavano altrove: cosa muove una persona? Quali sono le sue motivazioni? Cosa spinge le sue azioni? Dopo aver studiato psicologia, si è formata anche come psicoterapeuta. Le piace lavorare in team interdisciplinari e apprezza enormemente gli aspetti profondamente umani del suo lavoro.