Attuale

Quanto è bella la vita

Stefania Casarotto e la sua storia di malattia, di fortuna e di affetti
È stata lei a rivolgersi all’Assistenza Tumori, con una lunga mail in cui accennava alla sua storia, o meglio la sua, quella della sua famiglia e del suo cane Mia. Stefania Casarotto, 50 anni ben portati, di professione infermiera pediatrica, ha ricevuto l’anno scorso la diagnosi di un linfoma di Hodgkin al terzo stadio. Non è stata una sorpresa per lei: sua mamma è morta a 35 anni di un linfoma, due zii – uno con un linfoma di Hodgkin, l’altro con un Non-Hodgkin – nel 2013. Sua sorella Valentina si è ammalata per la prima volta già all’età di 20 anni, e infine, 4 anni fa, anche il suo cane Mia.
Con un allegro “Ciao buongiorno” ha aperto la mail con questa storia familiare di linfomi. E tutto il tono della mail è rimasto così: leggero, un racconto all’insegna dell’ottimismo – pur nella consapevolezza che, in ogni caso, sembra più di una coincidenza che così tanti membri di una famiglia condividano lo stesso destino di pazienti. Una storia da condividere, una storia che può dare coraggio. Più che un caso, sembra la storia di un difetto genetico, che tuttavia, fino a oggi, non è stato possibile individuare.
Ma torniamo a Stefania. Aveva sette anni, e cinque anni sua sorella Valentina, quando nel lontano 1982 un linfoma di Hodgkin ha portato via “la mia giovane e bellissima mamma Rita”, dopo otto mesi di cure. Un lasso di tempo che a Stefania, all’epoca, era sembrato lunghissimo.
Quando, nell’ambito di uno screening per il tumore al seno, le sono stati trovati “dei brutti linfonodi nel cavo ascellare destro” e la biopsia ha evidenziato un linfoma di Hodgkin al terzo stadio, per Stefania “non è stato né un trauma né una sorpresa”. Come se se lo aspettasse. Sua sorella Valentina, dopo il primo linfoma di Hodgkin, si è ammalata ancora tre volte di tumore al seno, ma oggi è in remissione completa. Stefania è fiduciosa e parla senza filtri e senza ritrosia.
“Non ho niente da nascondere, non ho mai pensato di non farcela, mai un momento di dubbio”, semmai una ritrovata vicinanza con sua sorella.
La chemioterapia risale all’estate 2024, in concomitanza con una ricaduta del suo cane Mia, ormai malata oncologica cronica. “La mia oncologa, la Dott.ssa Katia San Nicolò, mi ha confermato che il mio tumore stava crescendo da tempo nel mio corpo, e questo mi ha portata a pensare che con il suo linfoma la mia cagnolona volesse comunicarmi qualcosa, darmi un allarme che io non ho saputo cogliere! Abbiamo camminato e combattuto insieme, coraggiosamente, contro il linfoma.
Abbiamo condiviso gli stessi momenti difficili, dovuti agli effetti collaterali della chemioterapia, e siamo state sempre vicine vicine, come mai prima d’ora, siamo diventate simbiotiche.”
Un’estate trascorsa in parte sul divano, in compagnia anche di Elena, la figlia di suo marito Cristian e – numero di globuli bianchi permettendo – anche di tante persone amiche. La più grande sorpresa, o forse meglio: conferma, è stata per Stefania suo marito Cristian. “Un carabiniere dal carattere forte e molto premuroso, che mi ha viziata ancora più di prima.” Quando Stefania, che di solito andava in palestra sei giorni a settimana, si preoccupava perché gonfia per la chemio e il cortisone, pallida e senza capelli, lui continuava a dimostrarle il suo amore e che per lui era sempre “la sua bellissima donna”. Già a casa girava sempre senza il kappele per nascondere la pelata, ma una sera, uscendo con il cane per una passeggiata, se l’è dimenticato… e non l’ha mai più rimesso.
Condivideva apertamente la sua situazione anche sui social media, Instagram e Facebook, convinta che comunque questa storia facesse parte di lei e che, in fondo, fosse una storia positiva, piena di coraggio. Una storia anche di fortuna. Fortuna di una diagnosi “casuale”, in assenza di sintomi. Fortuna perché Stefania Casarotto è la prima paziente a Merano ad essere stata trattata seguendo un protocollo del tutto nuovo, che non aveva ancora passato l’ultimo stadio di controlli prima di essere confermato dall’AIFA e quindi non ancora accessibile a tutti (vedi intervista con la Dott.ssa Katia San Nicolò, n.d.r.).
E infine, è la storia di un’esperienza personale profonda e positiva, di crescita personale: “La malattia mi ha insegnato ad apprezzare ancora di più le piccole cose della vita. Mi ha mostrato quanto sia inutile arrabbiarsi per le sciocchezze. Mi ha insegnato a concentrarmi ancora di più su ciò che conta davvero – soprattutto sulle persone. I miei amori, la famiglia, gli amici… e mi ha fatto capire quanto sono fortunata – e quanto è bella la mia vita!”
Oggi Stefania Casarotto ha ricominciato a lavorare. Le terapie sono concluse, ogni tre mesi si sottopone ai controlli, che affronta con fiducia, e segue ancora trattamenti di medicina complementare per rafforzare il suo fisico. È tornata pienamente alla vita – la sua vita, ma anche una vita diversa: una vita restituita, vissuta con ancora maggiore consapevolezza e gratitudine.
Stefania Casarotto e il suo cane Mia

Attuale

Meno effetti collaterali!

Intervista con l'oncoematologa Dr.ssa Katja Olga San Nicolò su una nuova terapia per il linfoma di Hodgkin e il linfoma non-Hodgkin
L’oncoematologa Dr.ssa Katja Olga San Nicolò dell’ospedale di Merano ha trattato la paziente Stefania Casarotto con un nuovo protocollo terapeutico sviluppato dal German Hodgkin Study Group presso la Clinica Universitaria di Colonia per il trattamento delle malattie maligne del sistema linfatico. La nuova terapia, pubblicata all’inizio dell’estate 2024 sulla prestigiosa rivista medico-scientifica “The Lancet”, offre non solo un'efficacia molto elevata, ma anche una tollerabilità decisamente migliore rispetto agli schemi terapeutici precedenti.
La Dott.ssa San Nicolò ha completato la sua specializzazione in Germania, a Erlangen, dove ha lavorato per dieci anni presso la clinica universitaria. Dal 2018 fa parte del team oncologico dell’ospedale di Merano.
Cominciamo chiarendo un concetto per i non addetti ai lavori: qual è la differenza tra linfoma di Hodgkin e linfoma non-Hodgkin?
Dott.ssa Katja Olga San Nicolò: Entrambi sono tumori maligni dei linfociti, cioè dei globuli bianchi. Sia il linfoma di Hodgkin (HL) che il linfoma non-Hodgkin (NHL) possono insorgere in qualsiasi parte del corpo e colpire i linfonodi ma anche organi come polmoni, fegato, midollo osseo e milza. Una differenza fondamentale è che, nel linfoma di Hodgkin, si riscontrano cellule giganti chiamate cellule di Reed-Sternberg, assenti invece nei linfomi non-Hodgkin.
Questa differenza ha ripercussioni anche sulla curabilità della malattia?
Dott.ssa Katja Olga San Nicolò: Il linfoma di Hodgkin è una malattia altamente curabile. I linfomi non-Hodgkin, invece, sono un gruppo molto eterogeneo: alcuni sottotipi sono ben curabili, altri meno.
La nuova terapia utilizzata nel caso della paziente Stefania Casarotto non ha migliorato l’efficacia rispetto alla terapia standard – già molto buona – ma ha portato a una migliore tollerabilità, corretto?
Dott.ssa Katja Olga San Nicolò: Esatto. Lo studio pubblicato da Lancet nel 2024 è uno studio di fase III, che si proponeva soprattutto di ridurre gli effetti collaterali della terapia per il linfoma di Hodgkin. Si tratta inoltre di uno studio di non inferiorità, cioè l’obiettivo era dimostrare che il nuovo protocollo non fosse meno efficace di quello standard. Entrambi gli obiettivi sono stati raggiunti: a parità, anzi con dati leggermente migliori sulla sopravvivenza globale, si è ottenuta una riduzione delle tossicità. Il protocollo tradizionale, basato su PET, TAC e polichemioterapia, comportava una tossicità significativa: compromissione della produzione di cellule del sangue (con conseguente necessità di trasfusioni), disfunzioni gonadiche che alterano la produzione ormonale e incidono sulla fertilità, soprattutto nei pazienti giovani (una fascia di età colpita è quella tra i 15 e i 35 anni, l’altra è oltre i 50). Inoltre, si potevano verificare neuropatie periferiche, nausea, stanchezza, caduta dei capelli e anche effetti a lungo termine come secondi tumori o problemi cardiovascolari e polmonari.
Che cosa cambia con il nuovo trattamento?
Dott.ssa Katja Olga San Nicolò: Alcune sostanze citotossiche ad alto rischio di effetti collaterali, come la bleomicina, sono state sostituite da un anticorpo coniugato, il Brentuximab Vedotin. Con questo cambiamento, la sopravvivenza globale è aumentata dal già ottimo 90% al 94%, e anche se i pazienti non stanno “bene”, si sentono comunque molto meglio rispetto alla terapia tradizionale. Possiamo dire: “Ora sarà un momento difficile, ma poi tutto sarà finito!”
Qual è il meccanismo alla base di questa nuova terapia?
Dott.ssa Katja Olga San Nicolò: Il Brentuximab Vedotin è un anticorpo monoclonale coniugato a un farmaco citotossico, capace di legarsi alle cellule tumorali del linfoma di Hodgkin e distruggerle. In questo nuovo protocollo, sostituisce in parte la chemioterapia standard.
C’erano condizioni cliniche specifiche per poter entrare in questo nuovo protocollo di terapia?
Dott.ssa Katja Olga San Nicolò: Sì, la presenza di un linfoma di Hodgkin in stadio avanzato, con coinvolgimento dei linfonodi. In media abbiamo uno o due casi all’anno in questa categoria – i linfomi non-Hodgkin sono molto più frequenti. Dopo Stefania Casarotto abbiamo trattato altri due pazienti con lo stesso protocollo, entrambi uomini. Anche loro hanno tollerato molto bene la terapia, senza complicazioni e senza ritardi nei cicli. Tutti e tre sono tornati alla loro vita quotidiana.
Quando è iniziata la terapia di Stefania Casarotto, il nuovo protocollo non aveva ancora terminato il percorso di approvazione in Italia…
Dott.ssa Katja Olga San Nicolò: Lo studio su “The Lancet” è uscito poco prima dell’inizio della terapia di Stefania. Per l’approvazione ufficiale in Italia ci vorrà ancora del tempo, ma il farmaco Brentuximab era già autorizzato da anni per i casi di recidiva. Ho presentato una richiesta di rimborso basata sullo stadio della malattia e sulla effettuata pubblicazione scientifica dello studio III e la richiesta è stata accettata.
A differenza di altre malattie oncologiche, nei linfomi lo stadio del tumore non sembra influenzare tanto la possibilità di guarigione – è corretto?
Dott.ssa Katja Olga San Nicolò: Sì, è vero. I linfomi HL e NHL in stadio avanzato sono spesso curabili. Ovviamente esistono eccezioni, ma in generale possiamo affrontarli in modo efficace.
La paziente Stefania Casarotto proviene da una famiglia con numerosi casi di linfoma di Hodgkin e non-Hodgkin, a partire dalla madre. C’è una componente ereditaria in queste patologie?
Dott.ssa Katja Olga San Nicolò: In linea generale, solo la leucemia linfatica cronica di tipo B – chiamata anche “leucemia dell’età avanzata” – è considerata ereditaria. Tuttavia, nel caso della famiglia Casarotto è probabile che esista una predisposizione genetica a carico dei linfociti.
Come mai ha scelto l’onco-ematologia come specializzazione?
Dott.ssa Katja Olga San Nicolò: In realtà volevo fare dermatologia, ma non c’erano posti disponibili, così sono finita in ematologia. Devo dire però che è una disciplina molto bella e interessante. Accompagniamo i pazienti molto da vicino durante un periodo esistenzialmente delicato e impegnativo, e come medici abbiamo la possibilità di gestire tutto il percorso: dalla diagnosi alla terapia.
n.d.r: La paziente Stefania Casarotto ha dato il proprio consenso affinché si svolgesse un colloquio con la sua oncologa. Non sono stati trattati dati clinici sensibili.