Attuale

Custodi del bosco

Gli alberi dell’Alto Adige fotografati da Othmar Seehauser

Un libro di trecento pagine. 348 fotografie. I protagonisti assoluti sono loro: 52 esemplari di alberi. I pini rossi, bianchi, cembri o serpentiformi. Larici primordiali, millenari o ombrello. Abeti di risonanza o abeti a candelabro. Faggi, tassi, betulle, aceri, castagni, querce. Gli ultimi ontaneti rimasti lungo l’Adige. Alberi cresciuti in una foresta che si estende dalle rive dell’Adige fino ad un altitudine di 2.500 metri. Secondo le stime della ripartizione foresta i boschi dell’Alto Adige sono popolati di approssimativamente 300 Milioni di alberi, cioè 600 alberi per ogni abitante.
Il fotografo Othmar Seehauser ha lavorato tre anni per ritrarre gli esemplari scelti per questo libro, “Custodi del Bosco – Gli alberi dell’Alto Adige raccontano“. Le fotografie suggestive sono accompagnate da testi scritti da Martin Schweiggl, ex direttore dell’ufficio Ecologia del paesaggio.
La passione per gli alberi accompagna Othmar Seehauser sin dalla sua infanzia che ha passato in alta Val d’Ega ai pendii del Latemar e della sua foresta secolare.
Seehauser è fotografo e pubblicista. Originariamente fotografo di reportage con diversi anni di esperienza lavorativa per il magazin tedesco “Der Spiegel“ in Sudamerica, nell’Amazzonia, in Tibet, Nepal e Buthan. Free lance per il periodico altoatesino “FF“ dal 1988 fino al 2006, cofondatore della prima agenzia fotografica dell’Alto Adige suedtirolfoto.com e cofondatore e presidente dell’Associazione dei Fotografi Professionisti Alto Adige. Da qualche anno Seehauser collabora anche con “La Chance“.
Custodi del bosco – Gli alberi dell’Alto Adige raccontano, editore Autonoma Provincia di Bolzano, Ripartizione Foreste, Athesia editrice, 1. Edizione agosto 2013.

Attuale

Io sono io

Michael Peer, direttore del“Südtiroler Jugendring“ - Associazione Giovani Alto Adige

Michael PeerMichael Peer

No, le statistiche non le legge. Michael Peer, chiamato Michi dagli amici, preferisce vivere il momento, poi quello dopo, e poi quello dopo ancora. Il suo mottoè “passo dopo passo“, e finora è andata bene. Questo non significa che sia sempre facile.
È una di quelle persone senza età. 29, 32, 37 o…? In realtà ha quarant’anni, i capelli corti, allampanato, il simpatico ragazzo della porta accanto. Nel suo tempo libero ama passeggiare, sciare, fare fitness. Gli piace viaggiare e godersi i centri wellness, ma anche rilassarsi, leggere, andare al cinema con gli amici. Di relazioni, di amici (quelli veri) ne ha alcuni, di amicizie tante. E una famiglia, che merita questo nome, dove si concentra il vero senso degli affetti: calore, sicurezza, amore. Una cerchia sociale articolata ed efficiente.
Nell’ultimo anno e mezzo, Michael Peersi è reso conto, come mai prima, dell’importanza di tutto ciò. Il giorno del suo trentanovesimo compleanno gli è stato diagnosticato un cancro al pancreas. Inoperabile – così il verdetto a Bolzano e a Verona. Dopo la prima chemioterapia, è stato ricoverato nel reparto di Chirurgia di Bolzano per forti dolori all’addome. Ci è rimasto una settimana. Dopo quattro giorni di ittero gli è stato inserito uno stent, un impianto che tiene aperte le vie biliari ostruite dal cancro.
Dopo, ricorda Michi, gli sono stati somministrati solo antidolorifici e clisteri. Ma il dolore non è diminuito per niente. Dopo una settimana è stato trasferito al reparto cure palliative in preda a dei dolori terribili. Per morire. La particolare terapia del dolore e soprattutto l’atmosfera speciale di questo reparto, hanno però avuto successo. Ci è rimasto due settimane. “Qui posso stare, ho pensato allora. E mi è tutt’ora di conforto sapere che esiste una struttura del genere e che esistono persone come il dottor Bernardo e il dottor Gapp, e il loro team“ dice Michael Peer.
Dopo il recupero all’unità cure palliative, ha potuto riprendere la chemioterapia, nonostante molte complicazioni, un’embolia polmonare, la nutrizione artificiale… Dopo il quarto ciclo, è arrivato un feedback positivo da Verona: adesso si poteva tentare un’operazione. Quando si è svegliato dopo due ore di anestesia totale, l’operazione non era stata eseguita. Un difetto di una macchina dellasala operatoria gli hanno detto. E Michael non è più voluto restare. “Quello per me era un segno”, è convinto, “un segno che qualcuno mi aveva mandato, forse Dio. E non volevo e non potevo ignorare quel segno“.
Michael l’ha preso anche come invito acontinuare a lottare. Siè presentato alla Clinica Universitaria di Heidelberg e il 6 luglio del 2012, a Michi sono stati rimossi l’intero pancreas, la milza, parte di una vena e la cistifellea. “Se avessi letto in internet le statistiche sulle conseguenze, non mi sarei fatto operare, probabilmente“ ricorda adesso. Ma, con il senno di poi, ha fatto bene. Alle conseguenze gravi dell’operazione, il diabete, problemi digestivi… si è abituato.
Sono seguiti altri cicli di chemioterapia e radioterapia, momenti nei quali voleva rinunciare e in cui le persone attorno a lui gli davano coraggio e forza, forza perandare avanti, per continuare a combattere, forza per fidarsi delle proprie capacità di autoguarigione. “Rimani attivo e assumiti le tue responsabilità, per te e per gli altri“: un motto che aveva letto da qualche parte e che lo ha aiutato in quel periodo.
“Mi sono messo in gioco e ho imparato a formulare in modo chiaro le mie esigenze. Ho imparato a chiedere e a prendermi quello di cui avevo bisogno, senza per questo sentirmi in colpa“. Michael Peer è riuscito a vedere la malattia come un’opportunità. “Un’opportunità per mettere ordine. Un’opportunità per prendermi tempo, per definire cosa sarebbe stato lo scopo della mia vita. Dove voglio andare? Che cosa mi aspetto dagli altri? Cosa posso ridare indietro? Non ho mai lasciato che il cancro vincesse contro di me, che fossi definito dagli altri per e con la mia malattia. Io sono io“.
Tempo anche per parlare con Toni Fiung, addetto della diocesi per la famiglia. “La religione ha sempre avuto un posto importante nella mia vita anche se ho sempre guardato con un certo senso critico alla chiesa e alle sue istituzioni, e anche se talvolta ho sofferto questo Dio che può essere anche ingiusto. Nonostante questo, la religione mi ha dato sostegno.”
Michi Peer è direttore del “Südtiroler Jugendring”, l’associazione altoatesina della gioventù. Il suo lavoro lo porta ad un contatto stretto con i giovani e i loro problemi. Apprezza lavorare in team. Anche l’atteggiamento positivo dei suoi colleghi gli ha dato la forza e la speranza per combattere contro la malattia.”Ho investito molto in questo lavoro, lavoro anche oggi più di 40 ore, ma mi torna tutto indietro“.
Per un uomo giovane e ancora pieno di progetti, la diagnosi di cancro ha conseguenze devastanti: lo sviluppo professionale, la creazione di una famiglia, i figli, un’idea di futuro. Cosa ne sarà? Adesso Michi Peer è contento di non avere figli. “ Mi sarei sentito molto responsabile, perché avrebbero dovuto affrontare questa situazione“.
È abituato a chiamare le cose con il loro nome. Sempre. Parla molto apertamente del cancro e delle sue paure, del morire e della morte. La morte per lui è un andare verso qualche cosa e non un abbandonare qualche cosa. Grazie anche al lavoro con un coach riesce ad affrontare le sue paure. “In genere sono una persona che riesce a tenere a bada piuttosto bene leproprie paure.“
Al pensiero della morte, sorge spontanea la domanda: cosa c’è dopo? “Certo”, ammette Michael, “ci sono anche dei momenti di sconforto, momenti in cui l’idea di dovermene andare, di dover abbandonare tutte le persone che conosco e che amo mi rende triste.“
La cosache più lo spaventa è quella di vegetare. “Sono sempre stato una persona autonoma, amante della libertà“. Michael sa, ha sempre saputo che la vita non è giusta. E non solo perché questa volta è toccata a lui. E mai, mai si è chiesto: perché proprio io? Neanche adesso che ha saputo di avere delle metastasi al fegato e che è in partenza per Heidelberg, dove sarà nuovamente operato dal prof. Blücher del Centro Pankreas, medico che stima tantissimo, così come l’oncologa dell’ospedale di Bolzano, dott.ssa Susanne Baier. Michi non si arrende. È pieno di speranza e pronto a combattere.