È considerato il padre dell’anatomia moderna. Andreas Vesalius (1514 – 1564), anatomista, chirurgo, professore a Padova e a Venezia. Sezionava pubblicamente cadaveri a Bologna. Medico personale dell’imperatore Carlo V, morì sull’isola di Zante durante un pellegrinaggio in terra santa. A Lovanio (Leuven) in Belgio un centro ricerca d’eccellenza porta il suo nome.
Il medico belga Peter Carmeliet dirige il centro ricerca internazionale VRC che si occupa dell’angiogenesi (il proliferare dei vasi sanguini) e del metabolismo delle cellule. A lavorare in questo laboratorio d’eccellenza, che fa parte dell’Istituto di Biotecnologia dell’università Lovanio, sono un’ottantina di ricercatori provenienti da tutta l’Europa e anche da Oltreoceano.
Anche lui si chiama Andreas, ma di cognome fa Pircher e sta a Lovanio da un anno circa. Di professione oncologo-ematologo e medico internista ha studiato medicina all’università di Innsbruck e lavorato alla clinica universitaria del capoluogo del Tirolo. Dopo la specializzazione, e prima di decidere definitivamente dove lavorare, ha deciso di inserire un periodo all’estero e di ricerca nel suo curriculum. Già durante gli studi universitari e durante la specializzazione si è occupato dell’angiogenesi, specie nei tumori dei polmoni, pubblicando diverse ricerche su questo tema e raccogliendo vari premi nel campo della ricerca.
Il focus delle ricerche a Lovanio si concentra sulla struttura, le caratteristiche e la proliferazione dei vasi sanguigni, di grande importanza per la ricerca sui tumori. Da tanti anni gli scienziati sanno che un tumore per crescere e per formare metastasi ha bisogni di una rete di vasi sanguigni. E qui entrano in gioco le cellule endoteliali, grazie alle quali i vasi possono ramificarsi. Il team del professor Peter Carmeliet si divide in diversi gruppi di lavoro, fatti di medici, biologi e tecnici che studiano da diversi punti di vista il comportamento di queste cellule.
Il gruppo di lavoro ”metabolismo clinico”, da sx.: JoannaKalucka, Lucas Treps, Jermain Goveia, Andreas Pircher e Lena-Christin Conradi.
Nel gruppo di studi di cui fa parte Andreas Pircher ci sono tre medici, dei biologi e degli scienziati provenienti dalla Cina, dalla Polonia, dal Belgio, dalla Francia, dalla Svizzera, dalla Germania e appunto dall’Italia.Pircher del resto non è l’unico italiano, dal 2009 il prof. Massimiliano Mazzone di Torino si occupa del nesso tra i vasi sanguigni e le cellule immunitarie e di come il loro insieme possa influenzare la crescita di un tumore.
Quando Andreas Pircher racconta del suo lavoro sembra terribilmente complicato. Il gergo scientifico risulta spesso criptico per chi non si occupa di ricerca e fa girare la testa a chi sente parlare di queste cose per la prima volta. Detto in poche parole Pircher sta studiando come utilizzare lo sviluppo fisiologico dei vasi sanguigni per combattere e per fermare il cancro.
Nei primi anni del nuovo millennio, racconta Pircher, gli scienziati pensavano di dover cercare delle strategie per bloccare lo sviluppo dei vasi all’interno e attorno ai tumori per poter letteralmente far morire il tumore di inedia. I tumori però hanno reagito in modo immediato sviluppando delle resistenze e alla fine a rimanere danneggiato era soprattutto il tessuto sano attorno al tumore.
Stefan Vinckier (Esperto di microscopia) illustra una rete di vasi sanguigni.Dott. Andreas Pircher
“Oggi invece ci muoviamo praticamente nella direzione opposta”, spiega il Dott. Andreas Pircher. “Cerchiamo il modo di curare il sistema vascolare in modo da non debellare e danneggiare il tessuto attorno al tumore permettendo ai vasi di penetrare il tessuto neoplastico per trasportare le sostanze della chemioterapia o della terapia ormonale il più vicino possibile al tumore e al suo interno.”
Gli scienziati del laboratorio belga hanno scoperto che le cellule endoteliali che si trovano all’interno delle pareti dei vasi sanguini, sono indotte dal tumore a ramificarsi nella sua direzione, adattando il loro metabolismo. In questo modo hanno un aumentato fabbisogno di glucosio, cioè zuccheri, che serve per il loro sviluppo. “Queste cellule endotiche hanno caratteristiche simili a quelle delle cellule tumorali ”, spiega il ricercatore. “Se riuscissimo a bloccare il consumo aumentato di zucchero, potremmo bloccare la crescita non controllata delle cellule tumorali senza compromettere la crescita funzionale delle cellule sane.” Le ricerche mirano quindi ad un controllo del metabolismo glicidico, bloccandolo solo nelle cellule tumorali.
Nel laboratorio di Leuven/ Lovanio in Belgio la maggior parte degli esperimenti vengono svolti utilizzando cellule cresciute in una coltura, per alcuni esperimenti bisogna invece utilizzare topi o pesci zebra per poter testare su organismi vivi delle sostanze che potrebbero essere utilizzate per bloccare il metabolismo delle cellule maligne.
Effettivamente sono già in uso dei farmaci antitumorali utilizzati in chemioterapia che in un diverso dosaggio e in un diverso lasso di tempo potrebbero agire in questo senso sui vasi sanguigni tumorali. “Noi siamo convinti che in un altro dosaggio e in combinazione con altre sostanze potremmo utilizzare sostanze chemioterapiche già provate per combattere in modo sempre più efficace la crescita del tumore.” Si tratta di bloccare un determinato enzima che regola il metabolismo della cellula endoteliale. “La ricerca però non è mai immediata, possono passare anni prima che un determinato farmaco entri in circolazione”, spiega Andreas Pircher.
“Proprio questo è il motivo per cui i ricercatori preferiscono lavorare con sostanze già in uso, magari anche per patologie molto diverse. Per accelerare i tempi di utilizzo sul paziente.” L’iter per portare un medicamento ex novo sul mercato è lungo e complicato. Un altro vantaggio che viene dall’uso di sostanze già in uso è che le case farmaceutiche ovviamente interessate a promuovere i loro prodotti, mettono a disposizione i mezzi per la ricerca.
Il dottor Andreas Pircher si occupa nella sua ricerca specifica delle cellule endoteliali nel carcinoma polmonare. Isola le cellule tumorali, le estrae e crea dei campioni in coltura per poi poter studiare il loro metabolismo confrontandolo con quello di cellule sane. “I nostri risultati confermano sempre di più la nostra idea che sia proprio il metabolismo glucidico alla radice della crescita tumorale!” Questo approccio sembra portare nella direzione giusta, ma per poterlo realizzare in modo clinico, cioè sui pazienti, occorrono ancora tantissimi esperimenti, e passerà ancora tanto tempo. “La percezione di trovarsi sulla strada giusta anche se è ancora lunga è una fortissima motivazione per l’impegno di tutte le persone coinvolte nelle ricerche!”
Intervista al dottor Andreas Pircher
Da un anno ricercatore al VRC di Lovanio
Anche se il Belgio è un paese piccolo, è molto aperto e si respira un clima internazionale. Condizioni perfette per ospitare un centro ricerca inserito in una rete mondiale come lo è il VRC, il Vesalius Research Center.
Lovanio è sede dell’Università Cattolica Lovanio, KUL, uno degli atenei più rinomati a livello mondiale, numero 35 nel ranking mondiale. Attualmente ci sono iscritti 55.000 studenti, un 16% circa proviene dall’estero. La KUL conta 15 facoltà, le cliniche universitarie sono famose per il loro standard all’avanguardia e il VRC fa parte del Vlaams Instituut voor Biotechnologie (VIB), l’Istituto biotecnologico fiammingo, dove più di 1.200 ricercatori di 60 nazioni sono impegnati in ricerche sui componenti molecolari della vita.
Chance: Com’è la vita in Belgio?
Andreas Pircher: Il Belgio è un paese incredibilmente aperto, offre un’ottima qualità di vita e ammetto che mi sto godendo molto il fatto di far parte di un contesto internazionale. Certo, ci vuole un po’ per abituarsi al clima e allo stile di vita non proprio mediterraneo (ride). Iniziando dalla cucina che propone piatti del tipo “cozze con patatine”.
Chance: Prima di firmare un contratto di ricercatore ha lavorato alla Clinica universitaria di Innsbruck. Qual è la differenza?
Andreas Pircher: Sicuramente qui sto vivendo un momento molto impegnativo e produttivo. Le richieste sono tante e le giornate lavorative non finiscono mai. Ognuno è focalizzato al massimo sul suo ambito di ricerca. Il capo dà le direttive, ma all’interno di queste c'è la massima libertà.
Chance: Un‘attività quindi che prende tutto, ma anche molto appassionante.…
Andreas Pircher: Certo. Siamo come un team di giornalisti alla ricerca di uno scoop o come degli investigatori che stanno seguendo una traccia promettente. Dobbiamo lavorare in continuazione con il massimo impegno. La concorrenza internazionale fa altrettanto e chi arriva prima può contare su mezzi per le sue ricerche e può pubblicare sulle riviste internazionali che contano. Siamo sempre concentrati sui dati. Iniziamo alle 8 nel laboratorio, ci fermiamo verso le 20, ma poi continua il lavoro al computer. Non di rado si lavora anche di notte o sino alla mattina, specialmente prima di concludere e di pubblicare dei lavori. Diciamo che la pressione è notevole!
Chance: E i risultati?
Andreas Pircher: …si fanno aspettare. Voglio dire, il quotidiano di un ricercatore è pieno di frustrazioni. Ci sono tante vie che non portano da nessuna parte. Ma il nostro obiettivo non deve essere di scoprire ogni giorno l’America, il nostro obiettivo è di mettere insieme con tanta pazienza, abilità e anche passione pezzo per pezzo sperando che forse, ma non necessariamente, un giorno sì, si arrivi ad una scoperta importante. Se succede questo allora l’emozione è indescrivibile! Ma non tutti e non sempre si può arrivare a risultati eccellenti. Fare ricerca significa essere sempre pronti a ricominciare da zero, accontentarsi dei piccoli, piccoli passi e lavorare sempre con la stessa dedizione, la stessa curiosità e anche con la stessa ossessione.
Chance: Che cosa farà dopo?
Andreas Pircher: Sono molto felice che grazie ad una borsa di studio per giovani ricercatori io abbia avuto l’opportunità di fare ricerca in un laboratorio d’eccellenza come questo. Qui tutto è ai massimi livelli, l’avanguardia è lo standard, veramente un livello altissimo. Ma alla fine vorrei tornare a lavorare con i pazienti, vorrei applicare la ricerca nel quotidiano clinico. Sicuramente tornerò a lavorare in reparto. E sono sicuro che l‘esperienza di qui mi aiuterà a poter lavorare ancora meglio con i pazienti.
Buono e sano col Dott. Michael KobContattiAssistenza Tumori Alto Adige | Sede centrale
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